Che cos’è la filosofia indiana un’affascinante mondo indiano da scoprire

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La filosofia indiana spiegata semplice

I filosofi indiani sono speciali soprattutto perché al loro pensiero fanno corrispondere il loro fare quotidiano. Tutto ciò che professano e studiano lo applicano nella loro vita pratica. Questo è una particolarità da non sottovalutare perché non sempre alle teorie filosofiche corrispondono le conduzioni dell’esistenza.

Quello che cercano i filosofi indiani è la realizzazione del sé. Loro mirano alla conquista di una conoscenza intuitiva. La filosofia indiana è, quindi, soprattutto intuizione. Questa conoscenza intuitiva è chiamata da loro “prajna”. I filosofi indiani si accostano alla realtà senza fare capo continuamente all’ingombrante fardello della logica. Qui troviamo così un’importante differenza tra il pensiero indiano e quello Occidentale. Mentre in Occidente si fa riferimento continuo ed incessante alla conoscenza logica, in India ci si affida maggiormente all’intuizione e al sentire personale.

Il filosofo indiano cerca la verità e la conoscenza dentro di sé. Quello che coltiva l’uomo Indiano è l’introspezione. La pratica dell’introspezione consiste nel cercare all’interno del proprio essere e della propria coscienza le risposte alla realtà. Essere introspettivi vuol dire interrogarsi e scendere nella profondità del proprio pensiero per arrivare ad una conoscenza di se stessi e di conseguenza dell’esterno. Attraverso l’interiorità l’uomo può giungere anche ad un’illuminazione. In India si fa riferimento ad una “perfezione umana”, ovvero ad una possibilità di sviluppare all’infinito le proprie possibilità.

Quello che cerca il filosofo indiano è il “risveglio”. Essere risvegliati vuol dire giungere ad un certo grado di consapevolezza. A questo punto la “logica formale” perde d’importanza perché quello che si trova al centro è il sé. Il sé è uno spazio transpersonale senza tempo. Gli indiani non rinnegano la necessità dell’uomo di socializzare e trovarsi a interagire con il prossimo. Tuttavia, essi ritengono che il risveglio e l’intuizione possano realizzarsi in solitudine.

Da questo concetto di solitudine possiamo risalire al concetto di “contemplazione meditativa”. Attraverso questa forma di meditazione, di silenzio e introspezione, il filosofo può attingere ai significati più nascosti della realtà.

Il concetto del sé è molto utilizzato anche in Occidente nell’ambito psicologico e psicoanalitico. Lo utilizzano grandi studiosi di psicoanalisi come Sigmund Freud, Carl Gustav Jung ecc. Essi hanno gettato le basi per la costruzione di una psicologia del sé. L’incontro e lo scontro tra il pensiero filosofico indiano e le teorie del sé Occidentali creano forti incomprensioni. Quello che distingue il pensiero dell’India da quello dell’Occidente è soprattutto la questione del dubbio. Mentre gli Indiani lasciano spazio al dubbio e spesso affermano che “le cose potrebbero stare così”, gli Occidentali sono sfrenati nel cercare certezze e assunti incontrovertibili.

In ogni caso, tornando alla filosofia Indiana, si può aggiungere che essa ricerca la dimensione autentica e la realizzazione cognitivo- pratica. Per quanto riguarda la dimensione autentica essi si domandano “da dove veniamo?”, “chi ha creato l’Universo?”. Essi così parlano di un tempo in cui non esisteva né l’essere né il non essere. Esisteva, quindi, un “Uno” che respirava e viveva. Da questo concetto dell’Uno nasce una sorta di monoteismo poiché anche gli Dei furono creati dopo. Per quanto riguarda la socialità i filosofi Indiani esortano tutti alla gentilezza e al compimento dei doveri etici. Alla base della filosofia dell’India, quindi, c’è lo spirito di gentilezza e predisposizione positiva verso il prossimo. Gli Indiani non esitano nel sentirsi affascinati dai colori di un tramonto e dal canto degli uccelli all’alba.

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Pubblicato da Silvana Santospirito

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