Una lettura della felicità dagli antichi filosofi per una vita più stabile e ricca

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L’arte della felicità secondo tre antichi filosofi

Come intendevano gli antichi filosofi l’arte della felicità? Quali erano le loro opinioni a riguardo?

Le riflessioni sull’arte della felicità sono iniziate molto presto nell’antica Grecia. Secondo uno dei più antichi oracoli di Apollo la cosa più bella era la somma giustizia; la più buona era l’essere sano; la cosa più dolce era l’ ottenere ciò che si ama.

Aristotele (384 a.C.- 322 a.C.) contestò questa visione della felicità, poichè affermava la sostanziale unità della felicità, che era insieme la cosa più buona, la più bella e la più dolce. Secondo Aristotele l’arte della felicità consisteva nel vivere bene e nel “riuscire”.

La maggior parte delle persone non definisce la felicità come fanno i sapienti. Ad esempio, alcuni pensano che sia qualcosa di visibile e appariscente, come piacere, ricchezza o onore. Spesso è il medesimo uomo che la intende in modo differente; quando un uomo è ammalato, infatti, intende la felicità come salute, oppure come ricchezza quando si trova povero.

Aristotele, quindi, distingue la sua idea di felicità da quella della massa e avanza anche una distinzione tra la molteplicità dei beni a cui gli uomini associano la felicità e l’idea di benessere.

Il bene perfetto secondo Aristotele

Aristotele ritiene che il bene perfetto sia autosufficiente. Egli intende l’autosufficienza non in relazione a un individuo nella sua singolarità, ma in relazione anche ai genitori, ai figli, alla moglie, agli amici etc. L’uomo è, infatti, per natura un essere che vive in comunità. Essere autosufficiente, riuscire a “sbrigarsela” da soli è, quindi, per Aristotele segno di bene perfetto.

 

L'arte della felicità

L’arte della felicità secondo gli Epicurei

Il saggio Epicureo si distingueva per il modo assolutamente originale di intendere il piacere; per Epicuro il piacere è “principio e fine della felicità”. Ma il piacere era inteso dagli Epicurei come assenza di dolore. Un piacere moderato e stabile è la via giusta per essere felici.

Il piacere è il bene completo e perfetto; non si tratta del piacere dei dissoluti, ma si tratta del non avere dolore nel corpo nè turbamento dell’anima. Non banchetti e feste continue, nè godersi fanciulli e donne danno vita alla felicità; la felicità è data dal sobrio calcolo che indaga le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, che scacci le false opinioni dalle quali nasce quel grandissimo turbamento che prende le anime.

La felicità secondo gli Stoici

Il rigore della virtù è ciò che caratterizza il saggio Stoico. Si tratta di una virtù scrupolosa fino all’eccesso, indifferente al dolore del corpo, estranea alle passioni. La loro arte della felicità consiste nel vivere secondo natura, cioè secondo ragione, in armonia con l’ordine del mondo e con il disegno razionale che lo governa. Il saggio è, quindi, l’uomo perfetto, superiore agli stolti; egli non ha bisogno di nulla, perchè nella conoscenza e nella virtù consegue la felicità dell’essere razionale.

 

L'arte della felicità L'arte della felicità

 

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https://it.wikipedia.org/wiki/Aristotele

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Pubblicato da Silvana Santospirito

Temi e teorie interessanti di ambito psicologico.

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